Forum 21: La lingua geniale – 9 ragioni per amare il GRECO

La lingua geniale – 9 ragioni per amare il GRECO

di Paolo Fai

 

Il fenomeno del pentitismo, nella storia della nostra Repubblica, non si limita solo al terrorismo e alla mafia. Anzi, questo è ben poca cosa, rispetto all’altro che invece si configura come un’epidemia sociale, tanto è diffuso, specie tra gli adulti. Parliamo di scuola, della scelta che si fa dopo la scuola media inferiore. Come Eracle al bivio, i più bravi sono incerti tra classico e scientifico. I più optano per lo scientifico, la via della modernità, ma dopo, sapeste quanti, barbe grigie e capelli brizzolati, giungono a confessare che, se potessero tornare indietro, anziché al liceo scientifico, si iscriverebbero al liceo classico! Riconoscono, tardi, di aver fatto male a seguire “i compagni che sbagliano” e avvertono, pungente, la mancanza del greco.

 

Anche di questo, ma di tanto altro, è fatto il libro, straordinario, nel senso che è un libro fuori dal comune, di assoluta originalità, «La lingua geniale – 9 ragioni per amare il GRECO», Laterza 2016, pp. 156, euro 15, di Andrea Marcolongo. Che non è un uomo, ma una giovane grecista, ventinovenne, al cui padre deve quel nome, che è maschile solo in Italia (mentre altrove è femminile – come da etimo greco, che significa “coraggio virile”), con laurea in lettere classiche e con un chiodo fisso in testa nella sua ancora breve vita di studiosa: dimostrare che, senza il greco, la vita è più scialba, meno ricca di colori, meno attraente.

 

Potrebbe pure essere adottato come libro di testo, come ausiliario dei libri di grammatica greca, che inevitabilmente sanno un po’ tutti di accademia, nonostante le migliori intenzioni. Questo, no. La giovane studiosa maneggia con competenza la materia di cui scrive, ma la tratta con la leggerezza della ragazzina briosa, che sa quante angustie certi argomenti (spiriti, accenti, “vuoti” storici e compagnia bella) suscitino negli adolescenti. Anche in lei. Che confessa, con lodevole autoironia, «una delle figuracce peggiori dei [suoi] anni di liceo», quando rimediò un 3 nell’ultima versione di latino al quarto ginnasio perché “sballò” «Il ratto delle Sabine». Ignorava che ‘ratto’ equivalesse a ‘rapimento’, perciò lei andava in cerca del “topo” e non riusciva a trovarlo. Con le immaginabili conseguenze.

 

Una testimonianza di amore viscerale verso la lingua di Platone e Tucidide, di Sofocle e Senofonte, questo libro. Che si legge d’un fiato, come si ascoltano con gioia e trasporto le lezioni di «pochi e illuminati insegnanti», i soli che col loro amore contagiano «chi osa avvicinarsi alla lingua greca». E li “ingravidano”, come Socrate faceva con Alcibiade.

 

Particolarmente felice la Marcolongo si rivela quando tratta del duale (è lo stesso numero che il professor Serianni ha suggerito di eliminare dall’insegnamento della grammatica greca!), dell’aspetto verbale e dell’ottativo. Avercene, di professori così, che non spiegano solo la ‘carne’ della lingua, cioè l’esteriorità, la parte visibile e, dunque, caduca di ogni lingua, ma lo ‘spirito’, che palpita in frasi come queste: «Il duale è allo stesso tempo il numero dell’alleanza e dell’esclusione. Due non è solo la coppia. Due è anche il contrario di uno: è il contrario della solitudine».

 

O quando illustra che l’alterità del greco rispetto alle altre lingue indoeuropee si coglie specialmente nel verbo, che predilige l’aspetto (la qualità dell’azione e delle cose) e non il tempo: «Il tempo, la nostra prigione: passato, presente, futuro. Presto tardi oggi ieri domani. Sempre. Mai. Il greco antico al tempo badava poco, o punto. I Greci […], liberi, si chiedevano sempre ‘come’. Noi, prigionieri, ci chiediamo sempre ‘quando’». Ma è nell’indagine sull’ottativo, il modo del desiderio – anch’esso appannaggio solo dei Greci –, che le pagine rivelano l’intensa partecipazione emotiva della Marcolongo. È solo l’amore per quella “lingua geniale” che può farle scrivere: «Singolare contrappasso dello studio delle lingue antiche: il modo verbale più intimo del greco antico, nato per esprimere il ‘desiderio’, suscita per lo più ‘sgomento’ in quanti vi si imbattono traducendo i testi». E forse lo sgomento non è ingiustificato, dal momento che nasce in quella linea di confine tra intuito e consapevolezza che la lingua greca «‘soprattutto’ è provvista di un modo di pensare di cui noi siamo sprovvisti. ‘Soprattutto’ possiede qualcosa in più che, nella nostra lingua, è in meno. ‘Soprattutto’, se questa lingua è bellissima, e il greco antico è una lingua di meraviglia».

 

Nella battaglia, che si profila sempre più aspra, tra difensori del Liceo classico così come è e i demolitori o annacquatori delle due discipline antiche che ne sono l’architrave, il libro della Marcolongo è pietra angolare, che ancora ci ricorda, con Virginia Woolf, che «è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione; e della nostra epoca».

Circolare del Presidente Nazionale 11.11.24

 

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